Ultimamente mi trovo spesso a confrontarmi con persone spaventate dall'avvento della tecnologia nei più svariati settori lavorativi. Si respira una certa preoccupazione per la diffusione di casse automatiche al supermercato ed evoluzioni simili. La settimana scorsa ero a Stoccolma e mi sono trovata a fare un pensiero molto simile quando in un parco mi sono imbattuta in un macchinario totalmente automatizzato che si occupava della pulizia dell'erba di un giardino (una specie di aspirapolvere Roomba per pulire il prato). Quello era il lavoro fatto da un uomo fino a poco tempo fa.
Poi però sono entrata nel museo presso il parco, si trattava di un'antica nave del '600 affondata nel golfo di Stoccolma e preservata quasi intatta. Ho scelto la visita guidata e i visitatori pur avendo la scelta tra audio guida o tour con la guida, nella maggior parte dei casi, per quanto ho osservato nella mia permanenza, hanno optato per la seconda opzione.
Quella contrapposizione tra la pulizia del parco e la visita guidata con una simpatica svedese mi ha sollecitato la voglia di scrivere una riflessione sul tema del lavoro e dell'automatizzazione. Sono riflessioni mie, scaturite dalle mie letture e studi, ma pur sempre pensieri personali che non hanno la velleità di dettar legge su un tema così ampio.
Artificial intelligence: human + machine
Qualche tempo fa ho avuto il piacere di assistere ad una conferenza in cui sul palco c'era Paul Daugherty, Chief Technology & Innovation Officer di Accenture che tra le altre cose parlava dei contenuti del suo ultimo libro Human + Machine: Reimagining Work in the Age of AI. L'argomento era proprio l'impatto dell'intelligenza artificiale sul mondo del lavoro.
Daugherty ha un pensiero positivo in tema di sviluppo dell'intelligenza artificiale, certo dirai, è un IT non è mica un umanista. Vero, ma i suoi argomenti credo siano alquanto convincenti. E la stessa impressione l'ho raccolta anche andando ad ascoltare una presentazione di Oracle a Campus Party Milano 2018. Sia Daugherty che Oracle dicono due concetti simili: il mercato del lavoro si sta profondamente trasformando, molti impieghi verranno automatizzati ma accadranno anche altri due fatti interessanti che vediamo qui di seguito.
1. molti lavori noiosi, ripetitivi non sarà più necessario che ci sia un uomo a svolgerli. Ciò, oltre a significare che ci sarà una perdita di posti di lavoro (come lo spazzino di Stoccolma per esempio), significa anche che gli impieghi che saranno disponibili potranno essere più edificanti per l'uomo, potranno far emergere nell'individuo le proprie skills, predisposizioni, e quindi essere più creativi e realizzanti oserei dire. Questa è la classica situazione in cui possiamo vedere il bicchiere mezzo vuoto e quindi lamentarci che non ci saranno più posti di lavoro per fare l'operaio in fabbrica o la cassiera al supermercato, oppure vederlo mezzo pieno e pensare che quell'ex operaio e ex cassiera potranno fare un lavoro più stimolante. E quindi benché io sia una forte sostenitrice del trovare modalità e strategie per riequilibrare il proprio uso dello smartphone come media digitale per eccellenza, un punto fondamentale è saper usare anche questa tecnologia nelle sue potenzialità, introducendola nella propria vita ma non per rimanere imbottigliati in scroll di newsfeed inutili in cui la nostra attenzione viene prosciugata.
2. Tra qualche anno, Oracle dice nel 2030, saremo ad un punto in cui ci saranno più offerte di lavoro rispetto ai lavoratori disponibili sul mercato! Il divario tra domanda e offerta, nel verso opposto rispetto a quanto si pensi a livello di senso comune, sarà dato dal fatto che il mercato del lavoro richiederà competenze nuove, che pochi almeno all'inizio avranno. Lo scherma nell'immagine qui a fianco, presentato da Oracle durante un intervento sul tema lavoro e robot, mostra nei singoli paesi il divario tra domanda e offerta nel mercato del lavoro nel 2020 e 2030. In Le caselle in blu mostrano più lavoratori di quelli che servono, in rosso il rapporto è inverso: il mercato richiederà più di quanto i lavoratori non riescano a dare. E se nel 2020 in alcuni paesi questo già accadrà, nel 2030 saremo tutti su quella stessa barca.
Conclusione
Fatte queste due considerazioni la conclusione che possiamo trarre è che più che avere paura del robot che ci porterà via il posto fisso, dovremo concentraci sul riconvertire le nostre competenze e quindi , per usare le parole di Paul Daughrrty re-skilling per matchare domanda e offerta.
Dobbiamo occuparci dell'educazione digitale a scuola, sia favorendo una diffusione e uso dei media digitali ma sia dando linee guida e ponendo una riflessione sul come e quanto vengono usati dai più piccoli che saranno gli adulti del 2030. E quindi in questo senso anche sapersi prendere una vacanza digital detox di tanto in tano, può fare bene.
La mia speranza quindi quando si parla di mercato del lavoro, intelligenza artificiale e paura del dominio delle macchine, è che riusciremo a vedere quel bicchiere mezzo pieno per riuscire a trarne ogni vantaggio e non lasciarci distrarre crogiolandoci in inutili lamentele.
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